Segreti
Da piccola era vivacissima e allegra. Le piaceva giocare sopra i fogli larghi di un giornale spalancato sul letto matrimoniale. Il cricchiolio improvviso e secco dei suoi stessi movimenti bruschi la faceva ammattire: girava su sé stessa con scatti ripetuti, fulminei, a caccia di fantasmi.
Al minimo rimestare di stoviglie, abbandonava ogni occupazione e correva come un'ossessa per il lungo corridoio di casa, fino alla cucina. Abitudine che poi ha mantenuto, seppure con un trotterello più adulto e compassato. Negli ultimi tempi aspettavamo pazientemente, a lungo, prima di vedere il suo muso spuntare nella luce della porta di cucina. Ma non demordeva.
Non ha mai parlato molto. In lei prevaleva la discrezione di chi non ha un "pedegree".
I discorsi maggiori li ha sempre tenuti alla vista di una fetta di fegato, o prima di acciambellarsi su un letto. Ma i suoi occhi parlavano il silenzio. Con essi criticava, blandiva, rispondeva, annuiva, ammoniva, esortava. O chiedeva. Quando la chiamavi, nominandola con affetto, li socchiudeva fino a farne due fessure, prima di inarcare il collo sotto una carezza.
Era discreta, educata, elegante, pulita e silenziosa.
Era decisa, affettuosa e tenera.
Era calda sui piedi, in fondo al letto. O sulle ginocchia, mentre guardavi la televisione, a sera.
Partecipava.
Solo se qualcuno accendeva una sigaretta, si allontanava.
Ogni ora del giorno aveva per lei un angolo di casa, un tappetino o una sedia; un buco, un anfratto, un letto o un cuscino. Senza preferenze. Era sempre nell'angolo più ventilato, d'estate, quando l'afa incolla ogni cosa; dormiva con un punto di lingua rossa fuori dal nero dei baffi, per mantenere costante la temperatura corporea. Nelle sere fredde d'inverno, invece, si accoccolava sul marmo, a tre quarti del salone, là dove passavano i tubi del riscaldamento.
Impiegammo anni a capirlo.
Era sempre il primo «Buongiorno», al mattino; un allegro e gentile birignao dalla sedia, di fianco alla porta di cucina, per chiunque di noi entrasse, assonnato, alla ricerca di caffè.
Era egoista e ruffiana, nonché ladra e opportunista. Sapeva i nostri limiti e come superarli. Non si lasciava scappare quasi mai una cartata di carne, o di affettato, abbandonata incautamente sul tavolo della cucina. Ma si guardava bene da tentare il colpo, se solo percepiva un po' di fermento tra noi, la fretta di un preparativo concitato o un po' di nervosismo nell'aria. Puniva solo le nostre vere distrazioni; che so io, l'innocenza di una telefonata improvvisa, che ti fa lasciare le cose a metà e raggiungere di corsa il telefono di casa. Scoperto il furto, facevamo voce grossa e sgomenta. Lei, sapendo, a quel punto scappava a nascondersi. Ma lasciava sempre in noi l'impalpabile vuoto di un vago scorno: l'averci previsto.
Era signorile e snob. Preferiva i divani di pelle a qualsiasi coperta di lana. La sera, noi tutti intorno a un film, ti chiedeva con un colpetto di zampa di lasciarle il dondolo di vimini, al centro tra i divani, e quel cuscino di seta sul quale acciambellarsi lentamente, soddisfatta della nostra considerazione.
Era solitaria e riflessiva. A volte avresti giurato di vederla pensare con malinconia alla libertà, e al brivido oltre il terrazzo, lo sguardo perso nel vuoto di una finestra aperta.
Era tutto questo.
O forse era solo la nostra gattina, come i gatti che migliaia di esseri umani hanno per casa e amano. Noi, come tutti, credevamo fosse unica, e alla sua rassicurante naturalezza raccontavamo segreti.
Sta di fatto che da ieri non c'è più.
E questa cosa ci fa marcire di rabbia e di dolore.
E accresce le nostre solitudini.
Roma, 23 giugno 1989
5 commenti:
Ti dirò, ci sono due categorie di viventi che mi commuovono e riempiono la vita come nient'altro al mondo, lo so dò l'impressione della sentimentaloide fuori moda...e sono i BAMBINI e gli ANIMALI!
Posso capire la vostra rabbia e il dolore, è un vuoto che rimbomba tra le pareti di casa, dentro la testa e nel cuore.
Solitudine è solo una parola, gli stati d'animo sono più complicati da spiegare quando il nostro amico peloso non c'è più.
(Io ho un cane, temo solo al pensiero che...)
:(
I gatti attraversano la nostra vita con grazia, dignità e spirito di indipendenza.
Ci fanno dono del loro affetto delicato e riempiono in modo vivace, caldo e spontaneo i vuoti della nostra esistenza.
Da noi non pretendono che piccole gratificazioni quotidiane e le loro veniali marachelle suscitano più il sorriso che il disappunto; non ci offendono, non ci umiliano, non ci feriscono...
I gatti della mia vita si chiamavano tutti Pucci: di ognuno ricordo perfettamente l'epoca, il carattere, gli episodi salienti...e anche il vuoto che hanno lasciato alla loro dipartita.
Grazie, ancora una volta.
I tuoi racconti mi inducono sempre a riflettere o, come in questo caso, a ripescare momenti preziosi dal cassetto delle mie memorie private.
O.
C’è qualcosa di straordinario che permette al lettore di appropriarsi del racconto: sei riuscito a descrivere dettagliatamente e con tanto affetto la tua gattina, pur senza banalità. Il tuo gatto infatti non ha nome, né colore…, solo un simpatico punto di lingua rossa fuori dal nero dei baffi. E può diventare proprio quello che migliaia di esseri umani hanno per casa e amano, dunque appartenere a ciascuno di noi. Ogni lettore è lasciato libero di pensare al suo gattino, di dargli un nome, un colore e… la sua unicità.
"Non ha mai parlato molto", "Era signorile e snob". Non una gatta, un animale da compagnia. Ma la compagnia. L'amica o amico, caro e fidato. Il fatto di sapere che c'è, dona serenità.
Anche questa volta mi hai fregato! Non è possibile come, dopo 35 anni, mi fai rivivere momenti della mia vita. Stella! Si chiama stella. Anche se in realtà è stata una cometa. La prima e ultima.
P.S. Sono riuscito a scrivere in corsivo! Yeppieee! :D
Rileggo il libro "Un senso alle cose" e questo brano:
Basta un odore, una luce, una pagina scritta a farmi chiudere gli occhi e a far riemergere cose che presumevo morte e riscoprirle vive.
spiega egregiamente i sentimenti che questo tuo racconto "Segreti" mi ha suscitato!
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