In piscina
Era come solo, nella piscina affollatissima, a mezzogiorno della domenica afosa.
Non poteva vedere né udire nessuno.
In piedi, sotto un sole canicolare, in mezzo al via-vai di gente in costume da bagno, ripeteva ossessivamente il medesimo movimento: una strana e armoniosa oscillazione sul bacino e sul busto; una lieve rotazione e contro-rotazione, toccandosi le sopracciglia con una mano e con l’altra; carezzandosi l’una con l’altra, poi, le stesse mani e gli avambracci; quindi aggiustando i pochi capelli.
Avrà avuto una trentina di anni.
Non poteva vedere poiché totalmente privo di bulbi oculari. Con ogni probabilità dalla nascita.
Era evidente che non potesse udire, fatto deducibile dalla sua assoluta, statica, imperturbabilità al vociare intenso dei bagnanti; all’alto, quasi fastidioso, volume della musica di alcuni altoparlanti, sparsi all’intorno; e anche osservando come più di una volta fosse stato pericolosamente sfiorato da gruppi di ragazzi che correvano, strillando e inseguendosi, verso l’acqua refrigerante della piscina, senza che ciò gli procurasse il minimo senso di allarme.
La sua mimica era serena e inconsapevole, come confortata solo dall’ossessivo e infinito ripetersi del medesimo, inutile, periodico gesto.
Di quando in quando la donna anziana che lo accudiva interrompeva la propria lettura; si alzava, uscendo dall’oscurità protettiva dell’ombrellone, per accostarsi a lui senza parlare; lo toccava leggermente su un fianco, con un gesto risaputo, sempre uguale, sempre nello stesso punto, e gli poneva una mano sulla spalla, da dietro.
Lui, come riacquistando improvvisamente coscienza; come scoprendo fortuitamente un contatto con quel mondo che può solo immaginare; come fosse cosa naturale proprio quel suo vivere in un buio silenzioso; comunicare solo con la sensibilità della pelle; solo allora si bloccava, alzava leggermente la testa protendendo il mento in avanti, e si apriva in un sorriso soave come un saluto.
Quindi, assecondando l’invito rivoltogli al tatto, arretrava di un passo e si sedeva; sempre ripetendo la medesima gestualità: toccandosi le sopracciglia; carezzandosi l’una con l’altra le mani e gli avambracci; aggiustandosi i pochi capelli…
Per qualche minuto rimaneva lì, inespressivo, solo di quando in quando sollevando di scatto la testa, ora a destra ora a sinistra, per fiutare la scia dolciastra di qualche bagnante unto d’olio solare.
Poi, assecondando chissà quale recondito impulso di soddisfazione, tornava a rialzarsi, lentamente, fino a ritrovare il sole canicolare e, in piedi nel nulla, riprendeva la sua oscillazione periodica, armoniosa, ossessiva e confortante.
Ritto in mezzo al passaggio di gente, tra gli ombrelloni e le sedie a sdraio, a pochi metri dal bancone del bar.
Visibile a tutti; ignorato da tutti.
In mezzo a noi eppure solo, nel suo sconfinato deserto di buio e di silenzio.
Un’espressione soave, sul volto.
Buenos Aires, 7 Gennaio 1993
4 commenti:
Ritratto vivo, palpitante, dolcissimo e tristissimo, reso con estrema efficacia; ispira tenerezza e angoscia allo stesso tempo. Ne porto l'immagine nella mente da quando ho letto per la prima volta il tuo racconto (e sono già tornata a rileggerlo diverse volte).
"In piedi nel nulla" è un'espressione che mi commuove, come mi commuove la capacità di adattarsi e trovare una qualche ragione di gioia o conforto in un simile nulla.
Grazie.
O.
P.S. Mi accorgo solo ora che la frase odierna di Flaiano è (forse?) esplicativa del significato del racconto.
Micidiale! :-)
O.
E grazie a O. che ha trovato le parole giuste per esprimere quelle sensazioni, inquietanti ma serene nello stesso tempo, che io stessa ho provato nella ripetuta lettura. Ogni volta che leggo il racconto mi colpisce la commovente delicatezza con cui vengono presentate le immagini, pur nella loro opprimente crudezza. Complimenti a Piesse!
Ma continua a sconvolgermi il pensiero di una possibile metafora: estraniazione in cui trovare un buio sereno, confortante, in attesa di un contatto affettuoso a interrompere l’ossessione.
Le ultime frasi, poi, ricollegate alle prime, mi riportano al mondo esterno e all’indifferenza della gente; mi confondono e mi generano una domanda angosciante: da che parte sta la vera alienazione, il deserto umano, il buio dei sentimenti…?
Proprio oggi, per una strana combinazione, mi è capitato di leggere una risposta: I giovani hanno bisogno delle tribù perché senza di quelle diventano una goccia d’acqua nel mare e questo li fa impazzire. [Romain Gary: “La vita davanti a sé”]
E' commuovente, vivo, profondo. E' come essere le' e vedere la scena. Fa riflettere tanto, trasporta lontano.
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